Quando l’inclusione fa notizia solo se disturba: il caso della “LGBTombola” e il dibattito che ne è seguito

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Negli ultimi giorni una polemica locale, nata attorno a un evento conviviale organizzato dall’Associazione 121 in occasione delle festività natalizie, ha riportato al centro del dibattito pubblico il tema del linguaggio, della rappresentazione e del modo in cui iniziative legate al mondo LGBT+ vengono raccontate nello spazio mediatico. L’episodio, apparentemente marginale, offre in realtà lo spunto per una riflessione più ampia su inclusione, percezione pubblica e confini – spesso fragili – tra cronaca, ironia e stereotipo.

L’evento al centro della discussione è una tombola natalizia, inserita nel contesto di un aperitivo organizzato dall’Associazione 121, realtà sammarinese attiva da anni sui temi dei diritti, dell’inclusione e della sensibilizzazione contro le discriminazioni. Un momento di socialità, pensato per soci e simpatizzanti, che si colloca nella lunga tradizione di iniziative associative di carattere ricreativo che, soprattutto nel periodo natalizio, animano il tessuto sociale del Paese.

La polemica non sull’evento, ma sul racconto

A generare la controversia non è stato tanto l’evento in sé, quanto il modo in cui è stato raccontato da una testata online, con toni che l’Associazione ha definito svalutanti e sarcastici. Da qui la decisione di intervenire pubblicamente con una lettera indirizzata alle redazioni, non per alimentare lo scontro, ma per chiarire il senso dell’iniziativa e respingere una narrazione percepita come riduttiva.

Nel testo, l’Associazione 121 ribadisce un punto che, nel dibattito pubblico, tende spesso a essere dato per scontato ma raramente esplicitato: un evento organizzato da un’associazione LGBT+ nasce inevitabilmente all’interno di una comunità che ha caratteristiche, sensibilità e un vissuto specifici. Questo non lo rende automaticamente esclusivo o discriminante, così come non lo sono le iniziative promosse da circoli culturali, associazioni religiose, gruppi sportivi o realtà professionali.

Comunità, identità e partecipazione

La partecipazione resta aperta a chiunque condivida lo spirito dell’iniziativa, ma l’identità dell’organizzatore non viene neutralizzata per risultare più “accettabile”. Un passaggio centrale della presa di posizione riguarda proprio l’idea, talvolta implicita, che le realtà LGBT+ possano essere tollerate solo entro confini ben definiti: quando si occupano di formazione, prevenzione sanitaria, diritti o cultura, il loro operato viene riconosciuto come serio e utile; quando invece entrano nel territorio della convivialità, della festa o dell’ironia, scatta la critica.

È una dinamica ricorrente, non solo a San Marino, che rivela una difficoltà più profonda nel considerare la piena normalità della presenza LGBT+ nello spazio pubblico.

Il lavoro che non fa rumore

L’Associazione richiama, a questo proposito, il lavoro svolto negli ultimi anni in collaborazione con istituzioni e realtà accademiche, come l’Università di San Marino, e con l’Istituto per la Sicurezza Sociale, su temi quali HIV, AIDS, discriminazioni sul lavoro e linguaggio inclusivo. Attività che raramente generano polemiche, forse proprio perché difficili da attaccare sul piano dei contenuti.

Il contrasto tra il silenzio che accompagna questi progetti e il clamore suscitato da una tombola natalizia appare, agli occhi dell’Associazione, indicativo di un problema di fondo nella percezione pubblica.

Il nodo del linguaggio e il caso “LGBTombola”

Un altro nodo affrontato riguarda il nome stesso dell’iniziativa, “LGBTombola”, gioco di parole che ha attirato parte delle critiche. L’Associazione chiarisce come la scelta sia stata dettata da un intento leggero e creativo, non da una volontà di provocazione o di esclusione.

In questo senso, il linguaggio diventa terreno di scontro simbolico: ciò che per alcuni è un’espressione ironica e identitaria, per altri viene letto come una forzatura o un’etichetta. La distanza tra queste percezioni segnala quanto il dibattito sull’inclusione sia ancora attraversato da sensibilità molto diverse.

Spazio pubblico e visibilità

Nel suo intervento, l’Associazione 121 tocca anche un punto più generale e politicamente rilevante: l’idea che le persone LGBT+ possano esistere solo in spazi privati o “protetti”, evitando di manifestarsi apertamente nella vita sociale quotidiana.

È una visione che contrasta con anni di battaglie per la visibilità e la libertà di espressione, e che rischia di riprodurre, in forma attenuata, meccanismi di marginalizzazione già noti. La rivendicazione non è quella di un privilegio, ma di una presenza normale, non subordinata al giudizio altrui.

Informazione, responsabilità e narrazione

Il tono complessivo della lettera inviata alle redazioni resta misurato, ma non nasconde il dispiacere per una narrazione giudicata superficiale. L’Associazione sottolinea come un approccio più diretto, magari partecipando all’evento o confrontandosi con gli organizzatori, avrebbe probabilmente restituito un quadro diverso, meno caricaturale.

Una considerazione che chiama in causa, più in generale, la responsabilità dell’informazione nel raccontare fenomeni sociali complessi senza ricorrere a semplificazioni che rischiano di alimentare incomprensioni.

Una tombola come cartina di tornasole

Al di là del singolo caso, la vicenda solleva una domanda più ampia: perché iniziative legate al mondo LGBT+ continuano a essere lette, da una parte dell’opinione pubblica, come eccezioni da giustificare, anziché come espressioni ordinarie della vita associativa?

È una domanda che riguarda il rapporto tra minoranze e spazio pubblico, ma anche il modo in cui il linguaggio mediatico contribuisce a costruire – o a ostacolare – processi di normalizzazione.

Inclusione quotidiana, non solo simbolica

In questo senso, la “LGBTombola” diventa un episodio simbolico. Non tanto per ciò che è accaduto, quanto per ciò che rivela: un Paese che, pur avendo compiuto passi significativi sul piano dei diritti e della sensibilizzazione, mostra ancora zone di attrito quando l’inclusione esce dai binari della serietà istituzionale e si manifesta nella dimensione più semplice e umana del condividere un momento di festa.

Forse è proprio qui che si misura il grado di maturità di una comunità: nella capacità di accettare che l’inclusione non sia solo un tema da convegno, ma anche una tombola, un aperitivo, una risata. Senza che questo diventi, ogni volta, un caso.

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